Venne l’autunno e poi l’inverno, mentre aveva completato il suo autoritratto, rimasto a lungo sotto un candido telo di lino. Il ritratto del poeta giaceva malinconico in un angolo, coperto da un velo trasparente.
I rapporti tra loro si stavano raffreddando, come la stagione incipiente, anche se continuavano a frequentarsi con regolarità.
Goethe sentiva che era giunto il momento dell’addio: la nostalgia della patria, di Weimar stava diventando troppo insopportabile.
Angelica aveva capito che la storia stava terminando e che non sarebbe riuscita a trattenerlo.
“Sento un vuoto dentro di me. L’amore mi consuma, ma Wolfgang non lo alimenta più col necessario vigore. Anche se non lo dice apertamente, ha deciso di partire di tornare in patria. Riuscirò a sopravvivere alla sua partenza?”
L’angoscia si impadroniva di Angelica, che aspettava con ansia la decisione del poeta, che tardava ad arrivare.
Si consumava lentamente, giorno dopo giorno, in uno stillicidio di vane speranze e tristi presentimenti, trascurando i suoi lavori.
All’inizio del 1788 Goethe cautamente cominciò a parlare di un suo possibile rientro a Weimar, adducendo come pretesto certe lettere del duca Karl August, che gli chiedeva di riprendere il governo del minuscolo ducato.
“Angelica, mia cara, “ diceva il poeta, “non vorrei lasciarti qui, ma prenderti con me! Non riesco a decidermi nella risposta al mio Duca, perché vorrei restare qui accanto a te. Anche la duchessa Anna Amalia mi scrive chiedendomi di tornare, perché vuole ascoltare dalla mia voce il racconto di questo viaggio alla scoperta dell’Italia e del bello, dove ho trovato una donna meravigliosa sia per bellezza sia per capacità artistiche”.
Angelica sapeva che erano solo lusinghe che laceravano la ferita che si stava aprendo dentro di lei.
“Wolfgang, non mentirmi”, rispose con la voce rotta dall’emozione, “non mentirmi. Stai preparando l’addio e non sai come dirmelo.”
Il poeta capiva che l’innamoramento stava svanendo, come già in passato era capitato.
Forse quel viaggio non era stato programmato per sfuggire alle insistenze di Charlotte?
“Non posso mentire a me stesso,” pensava con apprensione mista ad ansia, “non posso mentire nemmeno a lei, che ha capito. Però io ho necessità di riacquistare la mia libertà psicologica, di non avere legami stabili. Poi lei è sposata, ho conosciuto il marito, Antonio Zucchi, le chiacchiere sulla nostra relazione stanno serpeggiando tra gli amici comuni. Posso trattenermi ancora qui?”
Si avvicinò ad Angelica, stringendola a sé per fugare quei dubbi, sapendo che era un atto inutile.
Lei lasciò fare senza opporre resistenza: “Vuole convincermi che le mie paure sono infondate, ma tutto è inutile. Lo so. Lui vuole tornare libero, andarsene di soppiatto come oltre due anni fa ha fatto partendo da Karlsbad! Però godiamoci questi ultimi sprazzi d’amore. Dopo sarà il vuoto dentro di me, dentro la mia vita. Saprò dimenticarlo? Saprò cancellarlo dalla mia esistenza?”
Goethe la trascinò sul divano, ma lei disse: “Wolfgang, no! Non qui! Andiamo di sopra!”
Salirono in silenzio e giacquero sul letto sempre pronto ad accoglierli.
I giorni passavano, mentre la primavera si avvicinava. In silenzio il poeta cominciò a raccogliere le sue cose: i manoscritti delle opere, le bozze delle poesie, gli appunti del viaggio, i disegni e tutti i ricordi accumulati in questi due anni.
Continuò a frequentare Angelica, a girare per Roma con lei, che al suo passaggio suscitava sguardi di ammirazione e saluti dai passanti.
Angelica soffriva il distacco annunciato in silenzio, ma no dichiarato da Goethe.
“Mein Gott! Perché devo patire questi tormenti dell’anima? E’ forse la punizione divina del tradimento verso il marito? Vorrei che il giorno non arrivasse mai! Ma arriverà e deflagrerà con una forza immane dentro il mio cuore!”
Ormai il tempo volgeva al bello stabile ed era favorevole all’inizio del viaggio di ritorno.
Un pomeriggio di fine marzo 1788 Goethe arrivò allo studio di Angelica, che stava lavorando al quadro di Virgilio per non pensare al distacco.
“Angelica, mia adorata!” esordì, “Stamani ho ricevuto una pessima lettera dal mio Duca, che mi ordina di tornare sollecitamente a Weimar per riprendere le cure del governo del ducato. Mi è crollato il mondo addosso! Sono rimasto affranto tutta la mattina. Quindi in fretta e furia devo preparare i bagagli e partire”.
Angelica prese a piangere silenziosamente senza voltarsi verso di lui: “Wolfgang, non mentire, ne sei incapace! E’ arrivato il momento dell’addio tanto annunciato, tanto negato tenacemente da te. Concedimi l’ultimo afflato d’amore senza dire nulla. Vieni e saliamo per l’ultima volta quelle scale, che hanno conosciuto il nostro amore. Ti prego, resta in silenzio e in silenzio esci dalla mia vita”.
Deposti i pennelli, si avviò verso quelle stanze dove si era consumato un amore impossibile, aspettandolo di sopra.
Si era chiusa una parentesi della sua vita.
(parte diciottesima)