Durante l'attesa del ritorno

Angelica, mentre completava il ritratto di Goethe, ripercorse la sua vita, quando ancora una bambina osservava il padre Josef dipingere paesaggi, personaggi e soprattutto decorazioni religiose nelle chiese.
“Mio padre non è stato un pittore di gran talento o famoso, ma mi ha insegnato ad amare il bello e mi ha sostenuto ed incitato a diventare pittrice e scultrice. Se sono diventata quella che sono, io lo devo a lui”, così ricordava la figura paterna, che aveva segnato profondamente la sua esistenza.
Dalla cittadina svizzera di Chur era venuta in Italia una prima volta appena quattordicenne seguendo il padre, dove era rimasta per oltre dieci anni, acquisendo il gusto e la passione per l’arte, apprezzando la plasticità dei pittori e scultori più famosi da Michelangelo a Raffaello.
Con nostalgia ricordava i primi incarichi ufficiali: “Avevo solo undici anni, quando una signora mi ha commissionato quel ritratto di fanciullo. E’ stata un’esperienza memorabile, perché sono entrata a fare parte della cerchia dei pittori, accettata e benvoluta da tutti. Chissà dove sarà quel ritratto? E’ ancora appeso ad una parete o giace impolverato in un qualche scantinato?”
Gli occhi si inumidirono quando ricordò il primo soggiorno romano col padre: “Avevo solo venti anni quando l’Accademia di San Luca mi accolse tra i suoi membri. Io ero una bambina rispetto agli altri, molto più anziani di me”.
Fermatosi un istante mentre dipingeva il ritratto di Goethe, intonò una breve canzone: aveva una bella voce e sapeva comporre musica con testo di dialogo. “Lieber Gott, mi hai dato grandi doni: dipingere, comporre musica ed una notevole voce. Potevo eccellere in queste arti, ma la pittura e la scultura sono risultate vincenti nella sfida di essere una cantante. Quanti dubbi mi hanno assalita durante quegli anni ancora adolescente! Però il contatto con i grandi pittori e scultori italiani hanno fugato qualsiasi incertezza!”
Il suo carattere volitivo e deciso si era forgiato e maturato, quando ventiseienne era partita sola per l’Irlanda da dove si era trasferita presso lo studio londinese di Joshua Reynolds, famoso ritrattista.
“Devo tutto a Joshua, quando mi ha accolto nel suo studio. Mi ha formato graficamente e mi ha insegnato a miscelare i colori. Però soprattutto è stato per me un secondo padre, insegnandomi a stare in società, a respingere i pretendenti troppo insistenti, ad imporre le mie idee ai committenti. In quegli anni ho lavorato sodo e sono maturata artisticamente e come donna”.
“Mi hanno chiamata la poetessa del pennello” rammentava con una punta di orgoglio “ per l’abilità nel dipingere i ritratti della ricca borghesia e dei nobili londinesi. Ero io a dettare le mode e gli stili, ad influenzare gli altri artisti. Ero ricercata ed adorata dall’alta società di Londra. Ero talmente famosa che in un anno ho accumulato tanto denaro da potermi permettere l’acquisto di una comoda casa a Londra”.
Mentre ricordava Reynolds e i trascorsi londinesi, un pizzico d’orgoglio la colse nuovamente: “Che soddisfazione ho provato quando la Royal Academy mi ha accolta come membro. Io sono stata la prima donna ad entrare lì in quel ambiente maschilista! E questo lo devo a Joshua, che ha perorato la mia causa”.
La malinconia salì dentro di lei, mentre rammentava il doppio matrimonio, il primo con il Conte di Horn, un impostore, e il secondo con Antonio Zucchi, un pittore più vecchio di lei di ben 15 anni. Questo secondo non era stato un matrimonio d’amore, ma di convenienza, come spesso capitava. Nel periodo londinese aveva sposato un ciarlatano, che l’aveva raggirata con false credenziali aristocratiche, ma non era riuscita a liberarsene nonostante l’interessamento di Reynolds.  Pensava: “Come sono stata ingenua! Quell’impostore mi ha rovinato gli anni più belli della mia vita! Alla sua morte ho dovuto accettare come secondo marito Zucchi, solo perché ho girato con lui per convenienza, spacciandolo per mio marito!”
Aveva poco più di quaranta anni, quando l’aveva sposato, ma era troppo vecchio per lei, ancora bella e piacente, cercata dagli uomini ed odiata dalle donne. Però era stato un comodo paravento per respingere i corteggiamenti più assidui ed insistenti.
“Perché mi sono lasciata convincere a sposare Zucchi? Avrei dovuto resistere e cercare un altro uomo. Non mi ha donato mai un attimo di amore, uno slancio, un sentimento diverso dal formale. Ho bisogno di sentirmi donna, di amare ed essere riamata. Il sesso non è solo una necessità fisiologica, ma un modo di esprimere gli impulsi che nascono dentro di noi. Ora è vecchio senza più speranza che possa donarmi quello che cerco. Gli sono fedele a modo mio, senza mancargli di rispetto”.
Ormai erano cinque anni che abitava stabilmente a Roma, dove aveva comprato un bella e grande casa poco distante da Via Sistina, dopo avere vissuto per quindici anni a Londra, che aveva lasciata dopo il secondo matrimonio. In questa via posta nel cuore di Roma aveva il suo studio ed atelier con annesso un piccolo appartamento di servizio. Era diventata ben presto il crocevia di tutti i tedeschi che venivano a Roma, perché portavano notizie dalla Germania ed apprendevano le ultime novità di Roma e dei vari artisti che lì operavano.
Così attraverso amici comuni, riuscì a tenersi al corrente degli spostamenti di Goethe, prima a Roma, poi durante il viaggio in Sicilia.
“La Sicilia mi fa intendere l’Asia e l’Africa e non è poca cosa trovarsi nel centro meraviglioso dove sono diretti tanti raggi della storia universale” così diceva il poeta appena messo piede a terra dopo il disastroso viaggio in piroscafo da Napoli a Palemro. Aveva sofferto il mal di mare per quattro giorni, quanti erano stati quelli della traversata, aspettando solo il momento di potere calpestare nuovamente la terraferma.
Ancora una volta era ricorso allo stratagemma di viaggiare in incognito sotto il falso nome di Philippe Moeller, ma ben presto era uscito allo scoperto, perché il Viceré lo aveva mandato a prendere nella locanda dove alloggiava per averlo a corte.
Angelica ascoltava con attenzione ciò che gli amici le narravano del viaggio in Sicilia del poeta, che inviava lettere piene di entusiasmo per questa terra, tanto che scrisse in una dei primi messaggi recapitati a Roma: “L’Italia senza la Sicilia non lascia l’immagine nell’animo: qui, solo qui, è la chiave di tutto”.
Era entusiasta di questa terra, che il compagno di viaggio Kniep dipingeva con molta maestria. Sentiva rinascere dentro di sé una fresca sferzata di ispirazione poetica, annotando con cura tutto quello che vedeva e provava per tradurli in versi e poemi.
Era maggio quando Goethe carico di ricordi e di sensazioni cominciò il lungo viaggio che lo doveva ricondurre a Roma.

(Parte dodicesima)

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3 risposte a “Durante l'attesa del ritorno”

  1. “Perché mi sono lasciata convincere a sposare Zucchi?”
    E’ un po’ strano che una donna, ponendosi fra sé questa domanda, pensi al marito chiamandolo per cognome…
    Un caro saluto,
    Rosalba

  2. So che ad alcuni può capitare di chiamarsi per cognome se sono stati compagni di scuola, ma lui era molto più anziano di Angelica, no? C’erano quindici anni di differenza…

  3. Il suo è stato sicuramente un matrimonio di convenienza, lei ricca e famosa, lui vecchio e con scarso talento. Per cui ritengo che pensando ad alta voce chiami il marito, sposato sei anni prima, per cognome anziché per nome. Quello è stato un matrimonio strano e combinato, frutto di una serie di situazioni occasionali.
    Il matrimonio precedente era rimasto segreto, noto solo a pochi intimi ed Antonio Zucchi era stato per diversi anni un comodo paravento prima di diventare suo marito.

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