Gli alberi scuotono il capo,
le imposte chiuse tremano,
ed io penso.
Penso all’inutilità della vita,
perché vago qua e là
senza una meta
alla ricerca di ipotetico ideale.
Tutto sfuma
nella tremolante immagine del mare.
Tutto è inutile,
tutto è vuoto,
perché siamo senza nerbo,
perché mancano gli stimoli.
Gli alberi inchinano la fronte,
le imposte chiuse tacciono per un attimo
ed io non penso più.
La vita si arresta precipitosa
dinnanzi alla propria inutilità.
Il sangue non pulsa più nelle vene,
lo spirito vegeta:
il mio corpo è morto
per il mondo.
Ogni cosa s’acquieta
e, caduto in letargo,
aspetto la figura ideale
nel sonno,
perché mi inciti,
perché mi sproni a rinascere.
Vedo girare inane sotto di me
iI vuoto,
sono spaventato dalla mia solitudine.
Vedo, mi sembra di vedere,
mi sembra di scorgere
quello che a lungo ho creato:
il mio ideale.
Vorrei raggiungerlo e tornare alla vita,
liberarmi per sempre dalla tristezza
che, come una cappa, m’avvolge.
Invece, impotente,
assisto al disfacimento del mio corpo.
Perché scrivo?
Perché penso?
La morte dello spirito s’affretta
col veleno della ragione.
Attorno a me facce ridenti s’accalcano:
devo vederle, anche se non voglio.
Vedo il disprezzo dipingersi sui loro volti
e non posso fare nulla.
Osservo la loro gioia per il mio affanno
e mi dispiace.
No! Non voglio e non devo soccombere,
perché dovrei giacere ai loro piedi,
sconfitto?
Devo e voglio vincerli,
perché vincerei il loro inutile disprezzo,
perché sconfiggerei il loro vuoto desiderio di vivere.
“Solo vivendo scoprirai,
che la tua esistenza non è stata inutile,
e potrai osservare superiore
il vacuo pulsare di un mondo fatuo ed inutile.”
Ecco il mio ideale:
a ricerca è terminata,
lo scopo della vita è trovato.
Finalmente potrò riposare in pace per l’eternità.