Nuovo post su Caffè Letterario

Su Caffè Letterario ho pubblicato un nuovo post che replico anche qui.

21 Luglio 2144 – Sarntal

Sono passati cento anni da quando il mondo si è autodistrutto con’insensata guerra atomica. Era tutto cominciato vent’anni prima, nel 2024, con guerre regionali in Europa, in Medio Oriente, in Africa. Poi le scaramucce hanno innescato altri incendi in Asia e in America centrale. E il fuoco è divampato ovunque. L’industria della guerra prosperava sfornando munizioni, armi sempre più letali, droni guidati da quella che con grande pompa chiamavano Intelligenza Artificiale, AI per tutti. Pochi si arricchivano col sangue di molti innocenti.

Poi è stato un tutti contro tutti esiziale. All’inizio è stata qualche atomica tattica, che di tattico ha avuto solo il nome, perché le aree contaminate sono cresciute mese dopo mese, anno dopo anno. Alla fine il botto finale ha chiuso la partita nel 2044. La contaminazione radioattiva ha raggiunto valori insopportabili. Dieci e oltre sievert in ogni parte del globo terrestre senza eccezioni di sorta. La gente ha cominciato a morire tra atroci sofferenze, gli animali a sparire. I più ricchi si sono rifugiati nei propri bunker atomici per non morire come mosche sulla carta moschicida. I meno fortunati invece sono morti. Le città sono diventate luoghi spettrali dove la natura ha ripreso il sopravento, cominciando a sgretolare tutte le opere umane.

Amelia con Alfredo e un gruppo di amici pacifisti dopo essersi sgolati invano contro le scelleratezze di una guerra globale hanno deciso di costruire una città sotterranea per salvare un nucleo di uomini accomunati da un unico ideale: pace e concordia. Hanno realizzato una specie di Città del Sole sotto terra, simile a quella idealizzata da Tommaso Campanella molti secoli prima. Il posto individuato è sotto le montagne tra Veneto e Alto Adige. Sono riusciti appena in tempo a finirla e rifugiarsi lì, quando il mondo è collassato auto distrutto dall’insensatezza di chi stava al potere.

Cento anni dopo gli eredi di quel nucleo di visionari, che avevano compreso il pericolo che stavano correndo, hanno deciso di uscire dalla loro Città del Sole. La radioattività è ancora alta ma con le protezioni adeguate è possibile cominciare a muoversi all’esterno con cautela.

Quando si sono rifugiati sotto terra erano diverse centinaia di coppie con bambini e qualche anziano. Adesso sono cresciuti a un migliaio di persone tra giovani e adulti e ogni spazio della Città del Sole si è saturato nel tempo. La convivenza non è mai stata minacciata dagli egoismi personali. Però è arrivato il tempo di mettere il naso fuori per osservare cosa è rimasto della civiltà umana con la visione futura di ripopolare un mondo che a tutti appare ignoto.

Il loro modello non è verticista ma tutti sono alla pari. Le decisioni vengono prese dopo una pacata discussione che valuta tutti gli aspetti. Quando hanno pensato di uscire nel mondo di sopra, in modo collegiale hanno stabilito che solo gruppi di volontari si sarebbero avventurati all’esterno, tenendosi in contatto tra loro e con la Città del Sole. Ignorano cosa avrebbero trovato nell’ambiente esterno e come si presenta in questo momento il vecchio mondo che hanno conosciuto solo attraverso vecchi video e fotografie e dai racconti dei genitori o nonni. Nessuno di loro l’ha mai visto di persona. Il muoversi fuori dalla Città del Sole è un salto nel buio. Ignorano quali pericoli avrebbero affrontato.

Alba e Matteo, due giovani di vent’anni di terza generazione, si offrono volontari insieme a un’altra dozzina di coppie per esplorare l’ignoto. Con l’ausilio degli anziani pianificano le aree da esplorare con l’aiuto di vecchie cartografie dell’Istituto Geografico Militare molto dettagliate. Vengono caricate su vecchi tablet a colori che serviranno loro come guida per orientarsi. Dovranno camminare a piedi in assenza di altri mezzi di locomozione. Avranno scorte alimentari per circa dieci giorni. Quindi dovranno regolarsi per il rientro alla Città del Sole. L’unica arma di difesa sarà un alpenstock che servirà loro per aiutarsi a camminare nei sentieri di montagna. Per ripararsi nella notte dovranno arrangiarsi.

Indossate le protezioni e caricati sulle spalle gli zaini Alba e Matteo salutano la comunità e si avviano guidati dal GPS solare verso il mondo esterno.

La luce del giorno acceca i loro occhi abituati a quella artificiale della Città del Sole. Devono schermarsi per abituare la loro vista a qualcosa di insolito. Quello che vedono è molto diverso dai video osservati sotto terra. La natura appare di un verde più intenso e lascia filtrare debolmente delle spire di luce attraverso il fogliame fitto di alberi che non riconoscono. Si muovono con cautela nel sottobosco costituito da piante basse e spinose costellate da fiori dai colori vivaci, quasi violenti. È un mondo tutto nuovo quello che appare ai loro occhi curiosi. Anche i rumori sono delle novità per le loro orecchie abituate ai suoni ovattati e leggeri della Città del Sole. Devono abituare i loro sensi a sensazioni diverse di quelle vissute per vent’anni. Non possono sperimentare il gusto e il tatto per ragioni di sicurezza, né le diversità del mondo che stanno scoprendo.

Dopo dieci giorni ritornano al loro caldo nido. Descrivono un ambiente selvaggio dove è difficile muoversi perché non esistono più sentieri o strade come sono segnate sulle mappe. Hanno rischiato di finire in fondo a burroni perché il terreno è franato a valle. Hanno incontrato animali strani che li hanno osservati come intrusi. Hanno percepito suoni mai ascoltati. Quando le chiome degli alberi si sono diradate per mostrare il cielo, hanno visto figure bianche correre sullo sfondo azzurro, lasciandoli basiti. Ai loro occhi ingenui è apparso un mondo fantastico che hanno faticato a descrivere al loro rientro.

Anche gli altri gruppi hanno parlato di un ambiente che ha superato la loro immaginazione. Tutti hanno concordato che per le prossime esplorazioni bisogna migliorare l’attrezzatura da portare per rendere più comodo il trascorrere della notte e difendersi dai pericoli che si possono incontrare.

Tuttavia la curiosità di esplorare quello che sta fuori la loro Città del Sole è troppo forte per rinunciare a capire se sarà possibile riemergere dal sottosuolo. Così in accordo col resto della comunità Alba e Matteo decidono di eseguire un’escursione molto più lunga nel tempo verso la città più vicina: Bozen.

[fine prima parte]

Tautogramma in L

Eletta Senso per il gioco del lunedì propone un tautogramma il L.

Lieto libero

libellule di legno,

lancio lucidi

libri.

Lei lacera

labili labirinti di lacca.

Lacrime limpide

si litigano i ladri.

Lady L.

lavora e si lagna.

Il disertore di Loris Vian

 
da pexels
Dal blog https://chiedoaisassichenomevogliono.wordpress.com/2024/04/24/dissertando prendo e rilancio questo testo In piena facoltà egregio presidente le scrivo la presente che spero leggerà la cartolina qui mi dice terra terra di andare a far la guerra quest’altro Lunedì Ma io non sono qui egregio presidente per ammazzar la gente più o meno come me io non ce l’ho con lei sia detto per inciso ma sento che ho deciso e che diserterò Ho avuto solo guai da quando sono nato e i figli che ho allevato han pianto insieme a me mia mamma e mio papà ormai son sotto terra e a loro della guerra non gliene fregherà Quand’ero in prigionia qualcuno mi ha rubato mia moglie, il mio passato la mia migliore età domani mi alzerò e chiuderò la porta sulla stagione morta e mi incamminerò Vivrò di carità sulle strade di Spagna, di Francia e di Bretagna e a tutti griderò di non partire più e di non obbedire per andare a morire per non importa chi Per cui se servirà del sangue ad ogni costo andate a dare il vostro se vi divertirà e dica pure ai suoi se vengono a cercarmi che possono spararmi io armi non ne ho» (Il disertore, di Boris Vian, trad. G. Calabrese, nell’album di Ivano Fossati Lindberg) bella vigilia del 25 aprile

15 ottobre 1950

Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo articolo che potete leggere anche qui.

La Maharani Gayatri Devi osservava gli alberi del giardino interno nel palazzo di Japur e provava un filo di nostalgia per essere lì e non altrove. Avrebbe desiderato stare a Londra, dove aveva studiato prima del matrimonio con il Maharaja Sawai Man Singh II. Con l’indipendenza dell’India nel 1947 aveva perso lo status regale pur conservando il titolo di principessa.

Era di una bellezza misteriosa come molte delle maharani. Aveva lasciato alle spalle un’infanzia felice trascorsa lontano dall’India. Dapprima a Londra, poi a Losanna. Erano i ricordi londinesi quelli più felici anche se erano lontani nel tempo.

Si domandò se Lord David Mounbatton si ricordava di lei. Erano coetanei, entrambi nati nel 1919 a distanza di pochi giorni. David era nato il 12 maggio e Gayatri il 19 dello stesso mese a Londra. Lei era restata nella capitale inglese fino all’età di dodici anni, prima di ritornare a Cooch Behar nel West Bengal, dove il padre era il principe Jitendra Narayan di Cooch Behar. La madre Indira Raje di Baroda, una principessa della casta Maratha, era innamorata dell’Europa. Ritornò con la figlia quasi subito a Londra, dove la iscrisse in un college esclusivo, il Monkey Club, per avviarla alla professione di segretaria.

Lord David era il figlio cadetto di un Sea Lord inglese, legato alla corona inglese. Si incontrarono al ballo delle debuttanti che tutti gli anni si teneva in febbraio presso il Monkey Club. Gayatri avrebbe compiuto diciott’anni qualche mese più tardi. Ballarono tutta la sera senza stancarsi mai. Parevano una coppia affiatata. Impeccabili nei movimenti, sempre sorridenti con tutti. Lui alto e biondo, lei più bassa e dalla capigliatura corvina. C’era contrasto nei visi: lord David dal pallore chiaro, Gayatri dalla carnagione olivastra. Anche gli occhi erano del tutto diversi. Lui un azzurro ceruleo, lei scuri quasi neri. Però era un gradevole accostamento.

Si frequentarono fino a giugno, quando il padre le ordinò di ritornare senza indugi in India. Si salutarono scambiando la promessa di non perdersi di vista. Gayatri non sapeva che era stato combinato il suo matrimonio con quello che sarebbe diventato, qualche anno più tardi il Maharaja di Japur. Una fastosa cerimonia suggellò le nozze e l’anno successivo divenne la Maharani.

Lei però non aveva dimenticato quel lord inglese alto e biondo dal sorriso dolce, che aveva popolato i suoi sogni di diciottenne. Questo ricordo rimase confinato dentro di lei, anche se ogni tanto riaffiorava il desiderio di conoscere la sua sorte.

Gli anni trascorsero lieti e spensierati, appena lambiti dalla seconda guerra mondiale, che percepiva lontana dai fasti della corte di Japur. Poi arrivò l’indipendenza dell’India e la perdita del suo status regale, senza che questo incidesse minimamente nella sua vita.

Lei era sempre la Maharani, rispettata con deferenza dai suoi concittadini. Continuava a vivere in un’ala del palazzo reale, come se non fosse successo nulla nel 1947.

Il 15 ottobre del 1950 era una giornata soleggiata e calda nonostante fosse la stagione dei monsoni. Gayatri osservava il giardino da una finestra dei suoi appartamenti. In un angolo della stanza stava la dama di compagnia più fidata, che lavorava su un piccolo telaio. Era bassa di statura e coi capelli corvini. La Maharani lo guardò incerta se chiamarla oppure no. Si alzò e si diresse verso la camera da letto.

Da un secretaire aprì un cassettino, nascosto da una ribalta, e prese un sacchetto di pelle. Lo aprì e controllò il contenuto. Erano i gioielli indossati tredici anni prima durante il ballo delle debuttanti. Un collier di diamanti e rubini, un paio di orecchini a goccia, un bracciale d’oro tempestato di rubini e smeraldi. Li ripose nel sacchetto e richiuse il cassetto.

Tornò nella stanza dove Amrisha aveva continuato a lavorare al telaio. L’osservò e rifletté. Aveva saputo che tra quindici giorni un fratello della donna, un cadetto della ‘marine de commerce’, si sarebbe imbarcato su un aereo con destinazione Londra. Qui doveva armare una nave alla fonda a Newcastle upon Tyne in Inghilterra. Di lei poteva fidarsi sia per la discrezione sia per la fedeltà. Sarebbe stato il vettore più sicuro per trasmettere quello che per anni aveva conservato con gelosa segretezza.

Si avvicinò, mentre la ragazza sollevava il viso. Un viso ovale incorniciava due grandi occhi scuri.

«Vieni, Amrisha. Ho bisogno di parlarti» le susssurò con tono autoritario, accennando col capo di sedersi accanto a lei.

«Mi dica, Maharani» rispose con voce deferente.

«Devo trasmettere un cofanetto a Londra in assoluta segretezza. Nessuno deve sapere che proviene da me».

La ragazza strinse le labbra, perché aveva intuito chi doveva trasportarlo.

«Mio fratello, Banshidhar, partirà per Londra il due novembre insieme ad altri suoi compagni. Lui potrebbe portare con sé il suo pacchetto».

«È una persona fidata?» Le domandò, conoscendo già la risposta.

«È la discrezione fatta persona. Sapendo che è lei, Maharani, lo sarà ancora di più» ribattè di slancio con tono sicuro.

«Quando lo vedi?»

«Lo saluterò tra quindici giorni, quando passerà dall’abitazione dei miei genitori a Baroda» rispose abbassando gli occhi.

«Prima che tu parta per Baroda, ti consegnerò il pacchetto e una lettera. Grazie, Amrisha. Puoi tornare alle tue occupazioni» e la congedò.

Haiku per oggi

Il cofanetto di Puzzone

Oggi è di turno l’haiku che Eletta Senso propone per il gioco del lunedì.

Ecco il mio

Cielo coperto,

pioggia inarrestabile,

vento gelido.

Crescendo e decrescendo con stile

Questa settimana Eletta Senso ci vuol far crescere ma poi decrescere. Spero di crescere con stile e decrescere con gusto.

da Pexels – Foto di Marc Schulte:

E

Io

Tra

Poco

Lecco

Gelato

Gustoso

Vaniglia,

Kiss bacio.

Cioccolato,

Croccantino,

Cream Caramel,

Stracciatella,

Zuppa inglese,

Fiordilatte,

Pistacchio,

Tartufone,

Nocciola,

Miriadi

Sapori,

Gusti

Sono

Per

Te.

P.

Ecco cosa ho pensato.

da Pexels

Per Luisa

E

Tu

Hai

Pura

Magia,

Mentre

Agitano

Danzanti,

Polverose,

Frenetiche

Piroettanti

Danzatrici.

Ballerini

Andalusi

Ballano

Fluidi

Tempi.

Fila

Per

Me

G.

Acrostico in onore di Aprile

Questa settimana Eletta Senso propone un acrostico in onore di aprile.

Eccolo

Avverto la

Primavera.

Respiro e

Inspiro

Leggiadri

Effluvi.

Luisa lo riprende sul suo blog e io ne preparo un altro per lei

Ancora Aspetto

Per Perdermi

Respirando

Incantevoli Infiorescenze.

Lasciati Libera

Ed Esuberante.

20 luglio 2013 – Mont Blanc

Copertina Daniele

Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo racconto. Lo potete leggere anche qui.

Dal nevaio addossato alla parete rocciosa spuntava un luccichio bruno simile a quello di un oggetto di rame esposto al sole.

Jacques Philpott si fermò un istante per osservare meglio.

Le rocce non luccicano” si disse, mettendo a fuoco il punto da dove provenivano i riflessi.

Si spostò di lato rispetto alla posizione iniziale ma osservò che la coltre di neve fresca adesso era tutta uniforme. Non notava più nessun bagliore dalla nuova ubicazione.

«Eppure qualche istante fa…» borbottò scuotendo il capo.

Jacques era un bel ragazzone di Les Houches, un sobborgo di Chamonix, un po’ orso ma mai scortese. Amava la montagna e in particolare il Mont Blanc, che vedeva tutti i giorni dalla finestra della sua stanza. Quando compì sedici anni, eseguì la prima escursione sul massiccio che si ergeva in tutta la sua imponenza davanti ai suoi occhi. Adesso che di anni ne aveva ventuno lo conosceva come le tasche dei suoi jeans.

«È una montagna infida anche se appare benevola» era solito confidare agli amici. «Non ci si può dare confidenza, perché subito ti tradisce. Una donna è più fedele». La sua era una battuta maschilista ma di elementi femminili ce ne erano pochi nel giro delle sue amicizie e le poche, che erano tutte più maschi di quelli autentici, ridevano a quella boutade.

Era il 20 luglio del 2013, quando di mattina presto era uscito di casa per compiere l’ennesima escursione sul Mont Blanc. Portava con sé un paio di corti sci, le racchette da neve, dei ramponi da ghiaccio e uno zaino con vivande e qualche indumento pesante qualora il tempo virasse improvvisamente al brutto. In montagna non c’era mai da fidarsi che il tempo rimanesse stabile.

La giornata si preannunciava bella e senza vento. Il cielo senza una nuvola cominciava a schiarire e le stelle brillavano ancora nitide, quando avviò il suo 4X4 a inerpicarsi verso il Mont Blanc.

Voleva essere all’inizio del ghiacciaio del Bossons, quando albeggiava per affrontarlo con la luce del sole. Era immenso, bello ma estremamente infido e pericoloso da affrontare con un’illuminazione incerta: crepacci e seracchi erano sempre in agguato. Era la sua intenzione iniziare l’escursione presto per raggiungere la base del Mont Blanc du Tacul per mezzogiorno.

Lasciata l’auto vicinissima alle ultime propaggini del Glacier des Bossons, Jacques mise sulle spalle gli sci, le racchette, i ramponi da ghiaccio e lo zaino. Si avviò verso la lingua di ghiaccio che scendeva dal Mont Blanc come un lungo serpente candido.

Facendo attenzione a dove poneva gli scarponi, saggiando il terreno davanti a lui, si muoveva con cautela, perché i grossi cumuli di neve fresca nascondevano insidie e pericoli.

«Quest’anno è caduta neve anche poche settimane fa» mormorò tenendo gli occhi ben aperti. «Quindi devo stare vigile e attento».

Erano le undici quando arrivò alla base rocciosa del Mont Blanc du Tacul, uno sperone che si erge a più di 4200 metri, di poco più basso della cima del Mont Blanc.

Non era sua intenzione scalarlo, lo aveva già fatto altre volte, ma voleva ammirare la spettacolare vista della vallata sottostante. Era fermo a rifiatare prima di riprendere la via del ritorno, quando notò lo strano luccichio. Non riusciva a localizzarlo con esattezza, perché era sufficiente spostarsi e il candore del nevaio diventava immacolato.

«Devo fare attenzione nel muovermi per non provocare una valanga che sarebbe fatale» affermò avanzando a piccoli passi, tenendo sotto controllo il nevaio.

Il tempo passava, mentre Jacques era alla ricerca dell’oggetto che mandava bagliori a intermittenza.

«Forse affiora appena dalla neve. Cambia l’angolo della luce che lo illumina, quando mi sposto» borbottò fermo sugli sci osservando intorno.

Non perdeva d’occhio la massa nevosa addossata alla parete del Mont Blanc du Tacul, pronto a cambiare veloce la direzione, se vedeva qualche impercettibile movimento.

Nonostante le condizioni climatiche favorevoli ogni muscolo del suo corpo era in tensione, molto di più del normale.

La perlustrazione dell’area circostante assorbì le sue energie mentre il tempo passava inesorabile. Ricominciò a muoversi con estrema cautela. «Altri cinque minuti e poi riprendo la via di casa. Ho perso mezz’ora in ricerche inutili e infruttifere. Potrebbe essere un gancio perso da chi sa chi».

Immerso in queste riflessioni, notò una piccola massa scura, sommersa da un velo di neve, a qualche decina di metri alla sua destra.

«Ecco la cerca è terminata. I riflessi che avevo notato provenivano da qui».

Prima di avvicinarsi si assicurò che nessun distacco di neve fosse presente nelle vicinanze.

«La prudenza non è mai troppa» affermò muovendosi con circospezione.

Passò una mano per togliere la neve ghiacciata e mise a nudo un coperchio brunito. Con lentezza scavò intorno con gesti misurati e calmi, finché una piccola cassetta non apparve dal candido nulla. La sollevò con un po’ di sforzo. Non pesava molto. Quindi decise di prenderla con sé, assicurandola con la corda che teneva nello zaino. Ridiscese di qualche centinaia di metri, allontanandosi dal nevaio per osservarla meglio.

«Ha strani simboli sul coperchio» notò con un misto di curiosità e stupore. «Forse sono cinesi… oppure no».

Scorse questi simboli “मेड इन इंडिया”, scritti sul coperchio, sbiaditi ma leggibili.

È inutile sprecare tempo nel tentativo di decifrarne il significato” rifletté osservando il contenitore che presentava una chiusura insolita. “Non pesa molto ma come l’ho legato è solo d’impiccio per i movimenti”.

Si inginocchiò per controllare se poteva metterla nello zaino.

Togliendo le vivande e la giacca, ci sta. Mangio qualcosa e quello che non sta nelle tasche, lo getto. La giacca la indosso sopra questa più leggera”.

Guardò l’orologio. «Porca miseria! Già l’una! Il tempo è volato via. Devo sbrigarmi. Il Glacier des Bossons con le ombre lunghe del pomeriggio è assai pericoloso» esclamò avviandosi a valle.

Come previsto la discesa non fu agevole. Anche se lo aveva percorso molte volte, il ghiacciaio pareva essere vivo, cambiando fisionomia a ogni istante. I crepacci che aveva evitato nella mattinata adesso parevano essersi spostati. Alcuni erano più larghi, altri quasi chiusi. Alcuni seracchi erano crollati per effetto del rialzo termico di mezzogiorno. Era quasi giunto al termine, quando avverti sotto gli scarponi un tremolio. Si bloccò, facendo un balzo indietro. A pochi centimetri si era aperto un baratro senza fine dinnanzi a lui. Ebbe un moto stupore e si lasciò scappare un «Merde! Per poco non finivo in fondo a questo crepaccio!».

Sentiva le gambe pesanti e una certa rigidità nel corpo, quando alle cinque uscì dal Glacier, dopo aver rischiato più di una volta di finire male. La luce ingannevole del sole ormai più basso delle cime l’aveva tratto in inganno sovente ma si era salvato unicamente perché i riflessi erano pronti. Lasciata la lingua ghiacciata e tornato sul terreno nudo, tirò un sospiro di sollievo.

«Anche stavolta è terminata bene» esclamò incamminandosi verso il suo fuoristrada, che l’aspettava tra il termine della carrareccia e il ghiacciaio. Si diresse verso Les Houches.

Arrivato a casa, estrasse dallo zaino la cassetta.

«Chissà quali tesori contiene» esclamò, osservando la serratura.

Lipogramma in A in onore di aprile

Per la Pasquetta Eletta Senso propone un lipogramma in A ovvero la vocale A è off limits.

Krimhilde e le fanciulle scomparse

ecco il mio

Pesce o non pesce? Questo è il dubbio che colpisce il primo giorno del mese. Il terzo o il quinto? Quello di mezzo è niet. Dunque niente scherzi. Non sono in televisione. Peccato, però è meglio così. Sono giunto in fondo privo di @.

Per Luisa ho scritto questo corretto e riveduto

Vito vede l’uscio del signor Princepino e dice con un bisbiglio: «Vuoi vedere che non è dentro! Così lo buggero con lo scherzo del vile servitore». Detto e … Niente il tocco muore monco, perché l’ingresso non c’è più.

Deglutisce e si chiede come si è dissolto. C’è il vuoto e il buio del corridoio. Corre, fugge e si rende irreperibile.

Uffi, fine del r@cconto.

Poesie La campagna

foto personale

Mattino d’inverno

Il cielo è terso di un azzurro pallido,

il campo di grano di verde smeraldo

s’increspa sinuoso e morbido

sotto la sferza di un gelido vento,

come mare d’inverno.

La mente vaga leggera,

l’occhio spazia lontano.

È una bella mattina d’inverno.

[2 febbraio 2007]

da www.pexels.com pexels-johannes-plenio

Nuovo giorno

È un nuovo giorno.

Sta sorgendo

avvolto nella nebbia mattutina,

che avvolge la campagna a strati.

Il sole rosso si scorge a strisce

in lontananza.

Come relitti fumanti vedo

spuntare sull’orizzonte

alberi e tetti.

Il paesaggio muta

con velocità impressionante:

sembra un quadro rutilante,

macchiato

di grigio sporco,

di verde bagnato dalla rugiada,

di rosso intenso.

Il tutto in un turbinare di colori

che appaiono e scompaiono,

inghiottiti dalla nebbia del mattino.

Il nuovo giorno è sorto

e la magia si dissolve.

[15 aprile 2007]